Signor Malaussène, o d'un capro

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Un bambino crocifisso ad una porta per sventare un esproprio da parte della polizia. Un tale – il solito Benjamin Malaussène – che vive con la sua straripante famiglia allargata nello Zèbre, l’ultimo teatro ancora in piedi a Belleville, uno dei quartieri più magici e suggestivi di una delle città più magiche e suggestive al mondo, che di professione fa il capro espiatorio, ma che adesso si è messo congedo in attesa di diventare padre, ritrovandosi ben presto vittima di un complotto su larga scala.

I was there, di Roberto Pelo

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Intervista a Roberto Pelo, autore della raccolta di racconti I was there (Montag Editore, 2023) A Dov’eri? R – Se ci atteniamo al titolo del racconto specifico, ero in Cina, a Pechino, dove (come si evince dalla cronaca dei fatti) ero arrivato nel marzo del 1989 e dove avrei vissuto, poi, per altri quattro anni. Ma I was there sta a significare, più in generale, che racconto storie di cui sono stato testimone – non in senso letterale, però.

Fabbrica e ring, Romeo Orlandi

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Roberto Pelo intervista Romeo Orlandi su Fabbrica e ring. Sei racconti dal Michigan. Domanda - Fabbrica e ring è la tua terza prova di narrativa. Come le altre due (Il sorriso dei Khmer Rouge e Mal di Cina) è ambientata all’estero, nello specifico negli USA e, segnatamente, in Michigan. Ma questa volta non c’è nessun personaggio italiano (se non forse qualche italo-americano). Ci vuoi illustrare queste tue scelte? Risposta - I sei racconti del libro si immergono in passaggi epocali della storia statunitense, così grandi da contagiare il resto del mondo.

Per incerti versi

rubrica di Roberto Pelo

Orazio, Carpe Diem

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Se anche avesse scritto solamente questa ode (Odi, Libro I, 11, 8), che si chiude con queste due magiche parole, Quinto Orazio Flacco sarebbe comunque passato alla Storia. Ma il posto nell’Olimpo dei poeti di ogni epoca e lingua, come sappiamo, se l’è guadagnato con uno stuolo di opere e di versi luminosi. Eppure, se Orazio è – ancor oggi e quotidianamente – sulla bocca di molti, lo deve a questa locuzione, usata frequentemente, se non spesso, a sproposito.

La prima notte al mondo: Luigi Finucci

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La prima assenza di luce: ecco, la prima notte al mondo. Senza, il giorno non avrebbe un nome, e dunque non sarebbe affatto. Alcuni binomi – vita/morte, luce/buio, caldo/gelo – tendono le corde sulle quali Luigi Finucci compone i suoi canti. Avventurandosi fra le pagine, si oscilla fra lampi di vita e guaiti di disperazione, a tratti (quasi) di disfatta. La raccolta è divisa in quattro sezioni: nella prima – Ad una distanza che non comprendo – si vede tratteggiare un cosmo dalle sembianze umane: di certo non per antropomorfizzare gli astri, quanto, piuttosto, per espandere i confini del mondo fino a ricomprendere ciò che di più prossimo e remoto possediamo, il patrimonio più familiare sin dagli albori del mondo: le stelle e i pianeti.

Alessandro Barbato - inediti

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Per incerti versi

rubrica di Roberto Pelo

Leonard Cohen, poeta

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Suzanne, Famous blue raincoat, Seems so long ago, Chelsea Hotel, Halleluhja, Dance me to the end of love… Queste canzoni hanno consacrato Leonard Cohen come uno dei più grandi cantautori (brutta parola) della storia della musica moderna, perché è riuscito a portare a compimento un progetto caro a tutti gli autori e cioè fare poesia in musica. Che sembra ovvio, ma ovvio non è. Di più, Cohen in alcuni casi ha preso poesie non sue, le ha metabolizzate e rilette, per trasformarle in qualcosa di nuovo, più armonico, a volte più completo rispetto all’originale, almeno nella forza sottile dei sentimenti espressi.

La comunità dei viventi: Idolo Hoxhvogli

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Resistenza, biopolitica e logica emergenziale Nota introduttiva dell’autore Il verbo resistere deriva dal latino, è composto da re- e sistĕre, «stare, fermare». Il prefisso re- indica un’azione che si ripete o che risponde a una forza: reiterazione, reazione. Colui che resiste è un soggetto intensificato, perché nella resistenza non c’è solo uno stare, ma uno stare saldo che ribadisce sé stesso e si oppone a una forza che lo vuole far cedere.

Un po' di Novecento: Silone e Tabucchi

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È innegabile, oltre che inevitabile, che certa letteratura di prim’ordine venga in parte trascurata, relegata ai margini di quella ufficiale, in alcuni casi tassativa – si legga: che va letta per obbligo morale o scolastico – in altri casi semplicemente ritenuta necessaria per la formazione di qualunque individuo che abbia pretese di persona colta (non parliamo qui di letterati). Come nessuno si sognerebbe di mettere in discussione la necessità di leggere Calvino, Moravia, Pirandello o Svevo, – e tutti, infatti, li abbiamo letti, seppur a volte inconsapevolmente – così è altrettanto naturale veder fare spallucce alla menzione di autori quali Silone o Tabucchi.

Per incerti versi

rubrica di Roberto Pelo

I cavalli bianchi di Palazzeschi: 'gente' e 'gerundi'

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Quando Palazzeschi pubblica, nel 1905 e a proprie spese, la sua prima raccolta di poesie, I cavalli bianchi, è appena ventenne. Le cento copie stampate vanno a parenti ed amici, e la risonanza esterna è limitata a due recensioni di Moretti e Corazzini, anch’essi amici del Poeta. “I cavalli bianchi sono un libro compatto, anomalo e indecifrabile, uscito in segreto e come dal nulla, scritto, dice Palazzeschi, «con la semplicità e l’ingenuità di un bambino e la serietà di un asceta»” (Adele Dei, Giocare col fuoco, Introduzione a Tutte le poesie, 2003).