
Può accadere che una poetessa prenda le sembianze, o meglio, che s’identifichi in fusti, in scaglie di tronchi, in riflessi d’alberi su uno stagno.
“Deve essere il silenzio mosso/che ti convoca a dire le tue/chiarità”.
L’acquerello dei paesaggi ritorna al suo elemento, nelle pallide coloriture, nell’incedere crespo dell’acqua. I paesaggi, da parte loro, natura viva eppure immobile, si scrutano e si animano negli occhi dell’autrice, vivono nei sommovimenti e nei prodigi che in essa si generano, come in un fitto rimando di specchi. Tutto parte dalle immagini. L’esercizio di osservarle e di cercare, fra le pieghe delle parole – Nelle isole dei Rami – il luogo esatto in cui incastrare l’ingranaggio di una storia.
In questa pregevole opera di pittura-e-poesia, Marina Agostinacchio precipita nel vortice dei dipinti di Paola Munari (nella prefazione al testo si parla di “folgorazione”), divenendone soggetto generante. La seconda lirica della raccolta, “Pelle cucita in filigrana”, recita:

“Il mio corpo è ora quella lancia bianca/pelle cucita in filigrana”.
La sensazione che si ha è proprio quella dell’impressione, come su carta fotografica, cui segue la constatazione del fatto e della sua irreversibilità. Così l’autrice accompagna il lettore nella propria trasmigrazione, lo rende partecipe di emozioni dolorose, di speranze, di smarrimenti e desideri.
A proposito di smarrimenti, da Movenze d’Astro:
“Perché mi hanno portata/qui, così sola nel conflitto/di morbidi azzurri?”
si domanda l’autrice, divenuta d’un tratto lancia conficcata in un nuvola di azzurri, incredula di ritrovarsi all’improvviso in un campo di battaglia, evocato scrupolosamente dai termini “conflitto” e “avamposti”.

Non solo perché, ma chi l’ha portata in quel luogo? A chi si rivolge? Dal dipinto e dalla lirica emerge una solitudine irreparabile, non alleviata, bensì amplificata dall’illusoria vicinanza con i propri simili.
Cosa ti ha portata a immedesimarti in questi dipinti? Hanno fatto vibrare una corda familiare o ne hanno generata una nuova, che non conoscevi?
I dipinti rievocano un “indicibile”, un ancestrale che si risveglia per incanto di segno, colore, visione.
Fare poesia è spesso un lavoro di precisione, di chirurgia fine. Mi chiedo: esiste una sola scelta possibile – la scelta migliore – o forse l’artista si definisce in base alle scelte che opera di fronte ad ogni bivio?
Non esiste una sola scelta nel fare poesia. Per me è dare vita alla parola. Farla emergere dal caos. Cercare avvicinamento quanto più possibile tra parola e verità, forma, suono, silenzio, non detto. Lavorare di cesello sul contenitore: scelte strofiche, metro, scelte stilistiche ed espressive. È un lavoro faticoso fare poesia; prima sei immerso in un accecante splendore, divieni rabdomante, definisci il pensiero dandogli materia.
A proposito della domanda di prima, mi vengono in mente alcuni versi di Pessoa: “Così la brezza/sui rami dice/senza saperlo/un’imprecisa/cosa felice”. La precisione ha bisogno anche del suo contraltare, dell’indefinitezza, dell’evocazione vaga che rimane aperta all’interpretazione?
Certamente è come dici: precisione, indefinitezza, logos e segreto. Come diceva Ungaretti “La poesia deve portare con sé un segreto, non deve e non può dire tutto”; non svela anche per il limite che porta in sé la stessa parola.
(Per Paola Munari) Non è così frequente ricevere una “restituzione” di una propria opera su un livello artistico e non semplicemente critico. Che sensazione si ha quando questo accade?
Il fatto che le mie opere abbiano ispirato una poetessa a scrivere versi che si intrecciano con i miei acquerelli è per me una fonte di grande soddisfazione e rappresenta un felice riconoscimento del mio lavoro. Questa collaborazione ha dato vita a un dialogo artistico che va oltre il mero scambio di idee, trasformandosi in un vero e proprio incrocio di linguaggi espressivi. Quando si crea arte, si spera sempre di toccare le corde sensibili degli altri, di comunicare emozioni e pensieri che vadano oltre ciò che è immediatamente visibile e questo progetto, realizzato con Marina, non è stato per me solo il frutto di una collaborazione, ma la fusione di due mondi artistici che, insieme, hanno dato vita a qualcosa di unico e creativo. Si tratta per me, tra l’altro, della conferma che l’arte è in grado creare ponti, dialogare e aprire nuove prospettive espressive. Sono stata gratificata dal fatto che il mio lavoro sia stato visto e interpretato in un modo diverso – e forse più arricchente – da quello della critica, e mi auguro che anche il pubblico possa apprezzare questa nostra sinergia creativa.