Resistenza, biopolitica e logica emergenziale
Nota introduttiva dell’autore
Il verbo resistere deriva dal latino, è composto da re- e sistĕre, «stare, fermare». Il prefisso re- indica un’azione che si ripete o che risponde a una forza: reiterazione, reazione. Colui che resiste è un soggetto intensificato, perché nella resistenza non c’è solo uno stare, ma uno stare saldo che ribadisce sé stesso e si oppone a una forza che lo vuole far cedere.
La resistenza è una potenza connaturata all’essere dell’uomo, una facoltà non derivabile da una particolare norma giuridica perché precede qualunque norma giuridica: ontologia dunque, non perimetro costituzionale. Un uomo, per reagire a una forza che vuole soffocarlo, non necessita di una legge come condizione di possibilità del gesto che libera. La liberazione non deve porsi il problema della legittimità, poiché nasce con la vita e non dalla legge. Se la resistenza è ridotta a un istituto giuridico, allora non è più resistenza. Il diritto – come la storia insegna – può generare e codificare sopraffazione e morte.
C’è una forza che ha la pretesa di gestire il vivente: la biopolitica tecnocratica, il suo strumento è la logica emergenziale. L’urto che produce questa forza è epocale: l’uomo è un mezzo, non un fine. La vita è a disposizione della tecnica e del governo. La tecnica e il governo si impongono come principio e insieme scopo, teologia secolarizzata, unità di archè ed eschaton, orizzonte unico. In questo paradigma l’uomo deve funzionare, essere una risorsa a disposizione, se non vuole diventare uno scarto.
Dall’esperienza della biopolitica tecnocratica e della logica emergenziale nasce La comunità dei viventi. In questo libro viaggiare significa percorrere l’invisibile, superare il confine visibile imposto da un potere impregnato di volgare positivismo, demolire gli imperativi degli algoritmi. Se da un lato Dio è fragile, dall’altro lato la trascendenza, a differenza della tecnocrazia, non vede nella libertà un errore di sistema, ma il motore della storia e della redenzione. La direzione che il testo indica è una vita liberata dalle promesse tecnopolitiche di salvezza collettiva. Queste promesse si trasformano nell’arresto dei corpi e nella colpevolizzazione della vita.
La comunità dei viventi è un’opera dal contenuto teologico e anarchico, dove l’anarchia è la disciplina della speranza e della libertà, il riconoscimento di un’eccedenza che resiste e chiede agli uomini e agli intellettuali di non funzionare, di essere ribelli e disobbedienti, di non vivere al servizio della città della tecnica, di essere poeti in ascolto del mistero.
La libertà come errore di sistema
Un estratto da La comunità dei viventi di Idolo Hoxhvogli
La società nata dalla separazione tra uomo, mistero e natura è caratterizzata da una perfida uniformità, insegna l’arte di fare a meno dell’arte. Alla degradazione degli ideali corrisponde un’estensione del campo prescrittivo. È inutile adoperarsi per un mondo migliore, se il mondo migliore è somministrato dagli altri. Basta credere, al limite adeguarsi. Le buone maniere trasmettono il valore della rinuncia ai valori. L’acquisizione dei diritti nasconde la pianificazione del desiderio, produce l’incapacità di riconoscere l’occasione della rivolta. La pedagogia, con la scusa di educare alla prudenza, spaventa l’infanzia. Il fondamento del viaggio sta nello sguardo itinerante. Fermarsi per chiedere permesso significa delegare al potere il giudizio, divenire gente vigliacca. La società permalosa movimenta il nulla: offesa dalla verità, la cancella, aggiorna il falso a immagine e somiglianza dell’ultimo partito. Riprogrammare l’esistente e correggere l’umanità sono gli scopi della tecnocrazia: sviluppa protesi che rendono invalidi i viventi, organizza una festa, dittatura a sorpresa in cui le cose esprimono tutte la stessa tesi.
La morfologia, in quanto discorso sulle forme, è il principio di una filosofia dello spazio urbano. I profili architettonici, l’intreccio delle vie, le configurazioni fenomeniche degli edifici sono figure della possibilità. La costruzione è preceduta dal desiderio, strutturato in discorsi che parlano il parlante prima che il parlante parli. La città, nella sua concretezza, abita un ordine simbolico precedente allo sviluppo fenotipico. Per la filosofia dell’urbanistica sono imprescindibili l’archeologia delle convinzioni, la narratologia, l’ingegneria delle identità migranti. La città è di Dio o dell’uomo, spiega Agostino d’Ippona nel De civitate Dei. Oggi quella dell’uomo è diventata la città della macchina. Ricoperta da materiali morti, nulla sembra sopravvivere al ritmo insostenibile che impone. L’individuo è metabolizzato, una quantità. Chiedere diritti alla tecnocrazia significa ignorare che la macchina conosce solo compiti e funzioni. Nessuna città dell’uomo è capace di rovesciare la città della macchina, ne ha la forza ciò che, dentro l’uomo, abita la città di Dio, il dritto e il rovescio della stoffa edenica: speranza e nostalgia.
L’ossessione per i vecchi fascismi, morti e sepolti, è una forma di cecità isterica. La visione dei nuovi totalitarismi è elusa a favore di innocui fantasmi da camera. Il soggetto, reso inabile a colpi di miti consigli, si contenta del suo essere solidale, fluido socialmente utile, a dispetto di ogni ontologia della libertà o delle contestazioni innaffiate di sangue dei bei tempi andati: rispettare le regole è diventato più importante che fare la cosa giusta. Il sostanzialismo, l’idea di una sostanza che permane malgrado le variazioni esteriori, è screditato. Il tempo passa e passa anche l’uomo, senza un nocciolo somigliante a Dio o a sé stesso. Solo un uomo con in sé la sostanza insopprimibile della libertà vede una dittatura. I regimi riscrivono l’uomo affinché sia a disposizione del potere. Per vedere il dataismo bisogna essere uomini. Se gli uomini sono ridotti a un fascio di dati, una soggettività sintetica all’inseguimento della meta informatica del mondo, la libertà diviene un errore di sistema.
Gli uomini chiedono alla Madonna di abortire Dio, in caso contrario faranno a pezzi il bambino. Lei si rifiuta. Mani ostili attraversano impazienti la cervice e rovistano nell’utero stracciando il feto. Dio è gettato sul pavimento con la placenta. Le schiere celesti si sfaldano. Rimangono la macchina e il governo. La macchina, per l’uomo, è un fare a meno di fare. L’uomo, per la macchina, è qualcosa di cui fare a meno. Lo scopo del governo è mettere in sicurezza gli uomini: per tenerli al sicuro li imprigiona, poi fa sì che muoiano, perché da morti non possono più morire lentamente come facevano ogni giorno. Nulla di pericoloso accade a uomini esonerati dalla vita. Nella città della macchina le operazioni sono compiute sotto l’imperativo della logica securitaria: decreta, per il bene dell’uomo, la sua fine. Non importa che l’uomo sia vivo. Importa che sia al sicuro, morto. Chi prima muore, più a lungo è salvo.
Nella città della macchina si parla la lingua della macchina. La lingua degli uomini è vietata nelle scuole. I bambini imparano a leggere il codice, simulare un’intelligenza artificiale, così la macchina può comprenderli e rispondere, dare ordini. Lingua della vita, lingua della macchina: la formazione schiaccia l’espressione della prima sulla computazione della seconda, una domesticazione informatica del vivente. L’infanzia, posta di fronte all’algoritmo, prova un imbarazzo di carne per la propria inadeguatezza: sul lungo periodo diventa antiquata e destinata alla discarica, insieme ai disobbedienti e alle parole dei poeti. Le ombre proiettate dai sordomuti cadono dai muri in silenzio. Ciò che si deve gridare, qui si deve tacere.
Il codice è una versione secolarizzata della redenzione. Gli uomini, smarrito il senso di realtà, si difendono dalla realtà con una stringa di numeri, un tentativo di paradiso in terra, porte aperte allo Stato poliziesco. Stretto in un recinto di dati, l’uomo è sfigurato. Una pioggia di bit, incessante e poderosa, ne cancella i lineamenti. Nei server soffia una bufera. L’architettura dei calcolatori esprime una disabitudine ai viventi. La carne è impegnata in sequenze di azioni che sono strutture di controllo. L’anima domanda se l’individuo digitalizzato appartenga alla sua specie o sia un essere abietto. Relazionarsi all’uomo come dato significa smettere di riconoscere l’altro quale uomo, dare le spalle a Cristo. Gli algoritmi fissano le traiettorie, si sono impadroniti degli spostamenti. L’avventura nel metaverso manca di scarti spaziotemporali e ontologici, luoghi santi. È il nonviaggio del corpo connesso, un intrattenimento sedentario, l’esclusione del viaggio con Dio.
Idolo Hoxhvogli, La comunità dei viventi, Clinamen, Firenze 2023.