I Preludi, che appartengono alla prima raccolta poetica di Eliot, Prufrok and other observations del 1917, riassumono in poco più di cinquanta versi l’innovazione formale e di contenuto che Eliot porterà avanti fino al 1927, passando per Poems del 1920, The Waste Land (1922) e The hollow men del ‘25. Con l’adesione alla Chiesa Anglicana e con l’ottenimento della cittadinanza britannica, Eliot – che dà in quel periodo la famosa classificazione di se stesso: classicista in arte, monarchico in politica e anglocattolico in religione – inizia a percorrere una strada diversa.
I Preludi ci trasmettono la sensazione diffusa di una desolazione quotidiana e esistenziale, attraverso immagini di ‘cose’: oggetti, paesaggi urbani oggettificati, vite alienate. Il verso è continuamente spezzato, la descrizione condensata in poche scarne parole, il ritmo ineguale. Non c’è adesione, da parte dell’autore, né condanna, né speranza, in questa terra desolata.
I mozziconi di giorni fumosi, battuti dalla pioggia e dal vento, che trascina gli avanzi di foglie marcite, in strade coperte di segatura, dove piedi si accalcano nel fango di fronte ai caffè. E ancora: persiane rotte, comignoli, bigodini, mani sporche, dita tozze che caricano pipe. Tutte queste immagini portano alla nozione di un qualcosa che, nella sua solitudine, è infinitamente gentile, all’infinito sofferente.
Il Testo di riferimento di questa traduzione è nell’antologia, curata dallo stesso Eliot, Selected Poems, Faber & Faber, Londra 1961 (terza ristampa 1964).
Preludi*
I
La sera invernale si adagia
con odori di bistecche nei vicoli.
Le sei in punto.
I mozziconi di giorni fumosi.
E ora uno scroscio a vento avvolge
attorno ai tuoi piedi
i sudici avanzi di foglie marcite
e giornali da terreni in vendita.
La pioggia scrosciante si abbatte
sulle persiane rotte e sui comignoli,
e all’angolo della via un solitario
cavallo da tiro scalpita e fuma.
E poi, si accendono i lampioni.
II
Il mattino alla coscienza si svela
con odori di birra,
deboli e svaporati,
dalla strada coperta a segatura
con tutti i suoi piedi infangati
che si accalcano ai caffè appena aperti.
Con le altre mascherate
che il tempo riassume,
uno pensa a tutte le mani
che gettano livide ombre
in migliaia di camere ammobiliate.
III
Gettasti la coperta giù dal letto,
giacesti supina, aspettando;
nel dormiveglia guardasti la notte
che svela le mille sordide immagini
parte della tua anima,
che baluginano contro il soffitto.
E quando il mondo intero ritornò
e la luce s’arrampicò tra le persiane
e udisti i passeri nelle grondaie,
avesti una visione della strada
che la strada capisce appena;
seduta sul bordo del letto,
togliesti i bigodini dai capelli,
stringesti le gialle piante dei piedi
nei palmi delle tue sporche mani.
IV
Si distese la sua anima allungata
attraverso i cieli che sfumano
al di là di un profilo urbano
o da piedi insistenti calpestata
alle quattro e alle cinque e alle sei;
e caricano pipe dita tozze,
e giornali della sera, e occhi
sicuri di certe certezze,
la coscienza di una strada annerita
impaziente di assumere il mondo.
Mi spingono fantasie attorcigliate
a queste immagini, e persistono;
la nozione di un che infinitamente
gentile, all’infinito sofferente.
Netta con le mani la bocca, e ridi;
ruotano i mondi come donne antiche
che accatastano legna in terreni in vendita.
*Traduzione di Roberto Pelo