Salgado, ovvero: la nuova Genesi


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Difficilmente si potrebbe trovare un accostamento più felice fra una parola e un’immagine. Ha dell’assurdo, eppure non c’è alcun dubbio: quella rappresentata in figura non può che essere un’istantanea della Creazione. Credo che certe verità si insinuino in una maniera immediata, perentoria, priva della benché minima traccia di argomenti o dimostrazioni. Non vi è evidenza più potente dell’ovvietà: credo quia obvium.

L’intento dello scatto – che da la sensazione di voler comprimere, addensare il tempo in uno spazio ristretto – è quello di offrire la vista non su un paesaggio, quanto piuttosto sul paesaggio, uno sguardo complessivo sul repertorio dei fenomeni naturali: l’azione erosiva dei fiumi sul dorso delle montagne, le minuscole gocce d’acqua che si riabbracciano in banchi nelle nuvole, i raggi solari che irrompono feroci, aprendovi uno squarcio. L’intero ciclo della vita. La Terra, appena partorita, si comporta come se fosse sempre stata lì. Sbalordisce l’abbinamento dei segni, dei diversi linguaggi che si compenetrano e si completano, generando una miscela semiotica che moltiplica il potere dell’immagine.

Dunque, l’immagine mostra il mondo durante, o un istante dopo, la Creazione. Si potrebbe obiettare che il risultato finale è il frutto di un massiccio lavoro di post-produzione, fatto innegabile; d’altronde, se ogni ritratto è uno sforzo teso a distillare una parte di realtà – cioè, in un certo senso, già di per sé un’interpretazione, o piuttosto un filtrato, della realtà stessa – non sarebbe corretto ritenere questa fotografia più artificiale di una qualunque altra foto “priva di ritocchi”: ma chiudiamo qui questa divagazione. Il punto è che questo grosso tomo, per il breve tempo che ho avuto modo di maneggiarlo, mi ha intimato di sfogliarlo, di tuffarmici dentro, innescando una catena fatta di urgenze di conoscere, intervallate da fugaci, intensi appagamenti.

Salgado abbraccia il punto di vista – controtendenza e paradossale, probabilmente – secondo il quale, a dispetto dei danni provocati dall’uomo, grandi porzioni della Terra si trovano ancora in condizioni simili a quelle degli albori, come nel momento della Genesi biblica, per l’appunto. Se l’opera si presenta in una forma così monumentale, forse è proprio per il desiderio di esaltare il carattere sacro dell’esistenza di tutti i regni terrestri. Vi si legge un’ambizione a farsi Sacra Scrittura, o piuttosto rappresentazione di una Sacra Luce del mondo.

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Una colonia di pinguini ai piedi del vulcano Erebus, in Antartide (tratta da Genesi)

Nelle immagini che mostrano le colonie di pinguini in Antartide non vi è meno drammaticità che negli scatti delle tribù dei Dinka del Sud Sudan. Questa nuova Genesi panzoica rovescia il paradigma dell’ovvia supremazia umana, impresso nelle civiltà tecnologiche, suggerendo il ripristino di un primordiale geocene. Dunque, ecco perché mostrare una Terra appena partorita, gemente e ancora ricoperta da un velo di liquido amniotico. (Piccola nota: è significativo che la ricerca su Google del termine “panzoico” restituisca pochissimi risultati, tutti riferiti al ‘demonio’).
Potremmo affermare che la nuova Genesi di Salgado ha l’obiettivo di pareggiare i conti fra l’uomo e le altre specie, di inaugurare una nuova religione il cui scopo sia quello di ri-legare, di ristabilire i legami fra gli esseri che popolano il Pianeta, e fra quest’ultimo e i viventi. Una religione che offra un’assoluzione ordinatrice, che conosca il senso di colpa dell’uomo tecnologico e proponga una via d’uscita, la possibilità di un nuovo inizio.
L’idea chiave è dimostrare che, nonostante lo sviluppo tecnologico, il sistema di produzione di massa, il progresso economico, le catastrofi, il rischio di annientamento nucleare, le guerre, i cambiamenti climatici, le migrazioni forzate, esiste – e resiste – una porzione straordinariamente grande del Pianeta ancora del tutto incontaminata.

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La miniera di Serra Pelada, in Brasile (tratta da Workers)

Salgado, dopo aver documentato fenomeni più marcatamente umani in Workers (1986-1991), ed Exodus (1993-1999) offre forse in Genesi il tributo più grande alla propria specie, suggerendo la via per un processo di riconciliazione. Il tentativo di invertire la tendenza del tempo, di ribaltare l’ordine cronologico della storia del mondo nella sua non celata analogia biblica, si ravvisa nuovamente in questa inversione temporale, nel suo percorrere a ritroso la storia umana: dall’Esodo alla Genesi.
In modo emblematico, così come il popolo di Israele abbandona la condizione di schiavitù per correre incontro ad una promessa di libertà, per poi ritrovarsi nuovamente alla mercè degli idoli, della fame, della siccità del deserto; allo stesso modo, dicevamo, quel popolo, che certamente simboleggia l’umanità intera, di brulicanti formiche umane, schierato in battaglioni ordinati all’interno della miniera d’oro di Serra Pelada, in Brasile: quel popolo – una congerie di genti di ogni estrazione culturale e sociale – rinuncia alla propria libertà, barattandola con la speranza della ricchezza, per guadagnarsi la libertà dal bisogno (la Freedom from want di Roosevelt).

La domanda emerge in modo spontaneo: chi salva quest’umanità? Lo scatto qui sopra ritrae un Cristo indifferente e con le braccia conserte, il quale, ormai slegato dalla croce, si sporge per osservare il genere umano di sottecchi, con un’aria che è un misto di superiorità e sfiducia.
Fra le righe dell’afflato religioso, che pur emerge dirompente dalle opere di Salgado, certo si notano i richiami immanenti, inviti plateali – più che sommessi – a prendere per mano il proprio destino, a riscrivere la propria Genesi.


Foto dell'autore

Sebastião Salgado (Aimorés, 8 febbraio 1944) è un fotografo brasiliano, fra i più noti al mondo. Tra le sue opere più importanti ci sono Workers (1993), Migrations (2000) e Genesis (2013).
Il film documentario “Il sale della terra” (2014, regia di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado), offre uno spaccato dettagliato sulla sua vita e sulle sue opere.